Il curriculum, nella maggioranza dei casi, è una fredda lista di “hard skill”, ovvero di competenze tecniche della persona: studi, voti e mansioni precedenti. Un elenco di certificazioni, abilità e storia professionale. Utile, ma non basta a comprendere chi abbiamo realmente di fronte.
Se fosse così semplice assumere un dipendente attraverso un CV, basterebbe scegliere quello con gli studi, le valutazioni e le esperienze più importanti e autorevoli. E il gioco sarebbe fatto.
Le “soft skill” non trovano spazio nel curriculum, sono aspetti umani che possono essere indagati durante un colloquio, ma il cui vero banco di prova è l’attività quotidiana protratta nel tempo.
Secondo Adecco, tra le “competenze morbide” più richieste figurano: saper lavorare in autonomia, avere fiducia in sé stessi, dar prova di capacità di adattamento, resistere agli stress, prestare attenzione ai dettagli, saper comunicare bene, lavorare in team, essere creativi e saper ascoltare gli altri.
Le imprese assumono e licenziano continuamente in base alle abilità professionali, ma è difficile per loro liberarsi di una persona negativa, di un prepotente o di qualcuno che danneggia l’entusiasmo o la coesione del gruppo.
Forse è giunta l’ora di formare queste competenze vitali – per nulla “soft” – direttamente in azienda. Forse si investe poco in questo tipo di abilità perché si crede che siano innate o immodificabili, ma io la penso diversamente: dovrebbero esserci appositi corsi e formatori che insegnino a vincere la paura di sbagliare, a lavorare in gruppo, dire quello che si pensa, saper ascoltare gli altri, pensare in modo creativo, avere rispetto per sé stessi e per chi lavora al loro fianco.
Come i bambini
Hai mai osservato i bambini? In tenera età non hanno limiti: dicono e fanno quello che pensano, sono privi di soft skill, le imparano con l’esperienza – per osmosi – dalle collisioni con coetanei e genitori o dagli insegnanti.
La vita ci insegna a rispettare noi stessi così come rispettiamo gli altri, ma ci insegna anche che le abilità personali possono essere assorbite ed elargite, basta esserne consapevoli.
Per la tua azienda pensa a un professionista: deve essere carismatico, motivato, concentrato, ispiratore e in grado di stabilire obiettivi. Insomma, un ascoltatore profondo e paziente.
Cosa succede quando qualcuno del genere entra a far parte della tua squadra?
Solo perché queste facoltà umane sono difficili da misurare non significa che non possiamo adottarle, migliorarle o cambiarle.
Certo che possiamo. Ma chiamiamole con il loro nome: abilità reali, non soft.
Salve Riccardo,
Sono grandi e vere abilità, doti personali, che come ha ben descritto, non sono considerate preferendo skill più “materiali e concreti” , che sembrano diano più risultati mentre rendono l’ambiente di lavoro astioso, competitivo, rigido e generano quel turnover inevitabile. La scelta del lavoro si valuta sempre più per la qualità del “ben-essere”.Più la Direzione, i coordinatori e responsabili di Az saranno preparati per riconoscere queste abilità, maggiore sarà il livello di vera collaborazione e stabilità.
E ancor più iniziare dalla scuola superiore/università !
Vai Skande!!!
Ben detto Lucia!