Esistono due grandi approcci al Personal Branding, che potrei sintetizzare in “sii te stesso” e in “smetti di essere te stesso”: chi mette in luce l’importanza di svelarsi in maniera sincera e autentica e chi invita ad andare oltre i limiti, i difetti e le zone di comfort. Chi ha ragione?
Questa è una domanda che mi viene rivolta e che io stesso mi pongo frequentemente. Verrebbe da rispondere: “Devi essere te stesso, devi fare quello che senti e non considerare gli altri”; anzi credo di aver scritto una stupidata del genere in passato.
Partiamo da lontano, dal concetto di Brand (la marca): nessuno è obbligato a farlo, ma se vogliamo pensare noi stessi come un’azienda che comunica a un potenziale mercato, dobbiamo concentrarci sull’evidenziare un paio di concetti forti, chiari e comprensibili, dal momento che il posizionamento di mercato ricopre un ruolo fondamentale in ottica di distinzione e preferenza.
Essere chiari significa essere compresi. Comunicare le differenze che immaginiamo maggiormente gradite al mercato è un obbligo nei confronti degli acquirenti e nei nostri. Tuttavia la persona non è un prodotto, non è nata con lo scopo di trovare un acquirente a un determinato prezzo.
“Il vero problema non è il talento in quanto tale, ma il talento in relazione alla volontà, al desiderio e alla perseveranza. Il talento senza determinazione svanisce, al contrario anche un talento modesto, con queste caratteristiche, cresce” – Milton Glaser
Una persona è un insieme di esperienze, competenze e di una precisa personalità. Si può adattare al mercato studiando una data materia o evidenziando lati apprezzabili della propria natura o del proprio stile. Così come può eliminare e limitare aspetti poco graditi, come difetti del carattere o comportamenti poco opportuni. Se ti pensi un Brand devi tentare di governare ciò che le persone pensano di te.
Partendo da questo assunto, devi essere te stesso o no? Ma soprattutto cosa significa essere se stessi, essere autentici? Sono convinto che nessuno di noi sia mai stato se stesso. Istintivo e senza freni. Forse all’età di un mese di vita eravamo veramente noi stessi. Poi abbiamo imparato che ad ogni azione corrisponde ad una reazione, che gli altri reagiscono in un determinato modo a un nostro comportamento. Ci siamo adattati. Ci muoviamo in modo mirato, nell’intento di procurarci qualcosa. Per ottenere uno stipendio ci svegliamo presto alla mattina, ci facciamo la barba e avanziamo lentamente in coda per arrivare al lavoro. Questo non è un comportamento istintivo, di chi afferma di “essere se stesso”; siamo il prodotto di una società e di una convenzione a cui abbiamo aderito (o che abbiamo subito e stiamo subendo).
Se le regole del gioco ti piacciono e vuoi continuare a giocare, puoi scegliere la direzione più indicata a distinguerti, oppure raccontare a te stesso che sei “libero”, che “sei fatto così” e “ti comporti in modo autentico”.
Riflessione complessa. Da credente, io credo che si debba essere, sul lavoro come nella vita, sè stessi, consapevoli però che le nostre carenze, i nostri difetti, il nostro orgoglio (la realtà che io complessivamente chiamo peccato) ci impediscono di esserlo fino in fondo. E accettando di conseguenza, oltre ai nostri, anche i limiti di chi si rapporta con noi. Sia amico, cliente o altro.
le tue scelte ti hanno dato una morale, dei valori e un’etica. Esattamente quello che sostengo. Essere se stessi è un prodotto dell’ambiente in cui nasciamo e delle intenzioni che adottiamo
Credo che un grosso problema di chi si trincera sempre dietro la giustificazione del “sono me stesso” sia l’autoindulgenza. Perdonarsi tutto, anche le lacune nel perseguimento dei propri obiettivi, perché “sono stato spontaneo, sono gli altri che non mi hanno capito”.
Si finisce così per tralasciare un concetto preziosissimo, l’autocritica, che può fare davvero la differenza anche nel mondo del personal branding.
Per fortuna ci sei tu Ugo che hai compreso esattamente l’essenza di questo post
Io credo che valgano entrambe le soluzioni e si tratta solo di una scelta da fare in base agli obiettvi che si vogliono raggiungere. Più gli obiettivi sono chiari più la scelta è semplice. Non esiste una soluzione assoluta.
“te stesso” è già il prodotto dell’aver smesso di essere qualcos’altro ;)
Anche questo post mi piace un sacco e risponde alle domande che spesso mi sono posto avvicinandomi ai temi che insegni.
Accipicchia, non volevo fare un commento di ringraziamenti…evidentemente non ci sono riuscito, spero vada bene lo stesso Un caro saluto
Enrico
Il ringraziamento/riscontro mi serve tantissimo per capire se sto facendo bene! Grazie Enrico
Essere se stessi presuppone uno stato di purezza che, come hai correttamente osservato, sembra mostrarsi nella fase infantile. Ma neppure questo periodo e’ esente dal concetto di ” bisogno” che permane nel corso della nostra esistenza con un crescendo esponenziale. Di conseguenza, a malincuore, deduco che non esista il ” me stesso ” e che il compromesso sia quello di crederlo possibile.
Siamo quello che abbiamo deciso di essere, anche se se abbiamo subito il condizionamento di una società ci ha esortato a percorrere una determinata strada
Leggendo questo articolo non ho potuto fare a meno che ricordare un’opera di Keith Haring
http://www.artslife.com/wp-content/uploads/2017/02/Immagine3-590×483.png
Bellissima, non la conoscevo!
Essere se stessi vuol dire cambiare, questo è il senso della vita. Basta guardare la natura per capirlo. Siamo noi stessi solo perché ci adattiamo continuamente all’ambiente, sia esso privato, professionale o pubblico. Non siamo noi stessi come realizzazione istantanea di una condizione, ma come sistema adattivo. Per carità, a volte fa bene guardarsi un attimo indietro e gioire dei successi o imparare dalle sconfitte, ma solo se serve a cambiare più in fretta e con più voglia
Sottoscrivo al 100%
Essere se stessi non preclude l’idea di cercare di raggiungere la migliore versione di noi stessi. Poi dipende dagli scopi e dal valore che ognuno da alla propria esistenza: si può essere liberi e soddisfatti nello sguazzare nel fango come dei felici maiali ma dubito questo possa essere percepito come valore per gli altri
Siamo maggiormente noi stessi se dimostriamo, sempre a noi stessi, che sappiamo cambiare e migliorare. Non capisco quelli che celandosi dietro la scusa della autenticità rimangono immobili a giudicare gli altri
forse siamo solo il ‘se stessi’ che scegliamo di essere
Esatto, funziona proprio così!
Bellissimo spunto di riflessione. “Ognuno è esattamente quello che vuole essere”, mi ripeto. Spesso. In questo caso di Pandora ci sta tutto: il cambiare, lo spostarsi, l’essere se stessi. Mi riaggancio al pensiero di Classe e aggiungo: “l’intento vale più del talento”.
Considerazione ottima e la frase “l’intento vale più del talento” la trovo magnifica!
siamo sempre noi stessi, anche quando cerchiamo di imitare o seguire gli altri. Mi viene in mente “l’essere è e nn può nn essere …” . Che poi ci sia consapevolezza o meno è un altro discorso