Ho letto divertito il post “Building Your Personal Brand in Italy” di Megan Fitzgerald che parla del personal branding in Italia.
A parte l’immancabile foto da cartolina e il racconto stereotipato, degno del turista USA che a Venezia chiede al gondoliere di cantare ‘O sole mio.
Contiene elementi in alcuni casi singolari e altri, spero, comuni anche alle altre parti del globo.
La prima cosa da ricordare è che le apparenze sono importanti. Si tratta di quello che gli italiani chiamano ‘La Bella Figura‘. Trasporto e presentare se stessi in modo elegante e professionale è della massima importanza.
‘La Bella Figura‘, voglio sperare che anche in altre regioni del mondo la cura personale e come ci si presenta siano elementi fondanti un un buona immagine personale e professionale: “Vestire improprio indica che non si capisce la cultura italiana, quello che gli italiani chiamano ‘la brutta figura’. Esatto, se non fai “La bella figura” rischi di fare “la brutta figura”, mah.
Un’altra cosa da considerare è che la comunicazione verbale è preferibile alla comunicazione scritta (…) il tuo modo di esprimerti è importante per essere ricevuto bene. Quando si conversa si può sempre parlare di quanto è bella l’Italia o come è stupefacente la loro cucina. La maggior parte gli italiani sono incredibilmente orgogliosi del loro paese – in particolare del loro cibo.
Esatto, se siete a tavola con uomini d’affari e intellettuali li stupirete con frasi come “Wow, come se magna bene e quando è grande il Colosseo”, il successo è garantito.
Passiamo oltre.
La comunicazione non verbale in Italia può essere anche un’arte. Alcuni suggeriscono che ci sono così tanti gesti delle mani si può usare per esprimersi in Italia che si può avere un’intera conversazione senza dire una parola.
Infatti siamo molto avanti nel personal branding per i sordomuti. Alcuni sostengono che i manager dello stivale in questo modo evitino di essere intercettati da PRISM e l’NSA.
Anche le proprie competenze e l’esperienza fanno la loro parte, la ‘credibilità’ si crea mantenendo relazioni con le società, istituzioni e gruppi rispettati. La maggior parte preferisce incontrare le persone attraverso una introduzione, quindi la rete è estremamente importante.
Qui non ha tutti i torti: le lobby e le amicizie ad alto livello in questa penisola sono fondamentali per arrivare a mansioni e compiti importanti. Nell’università come nelle aziende.
Ci sono ostacoli al personal branding online (…) gli italiani preferiscono impegnarsi con persone piuttosto che con i computer.
E’ vero, l’italiano quando parla a quattrocchi riesce meglio a concludere rapporti d’affari e ad aumentare la fiducia. Siamo poco propensi ad aprire un blog personale e dare consigli alla concorrenza. Questo è stupido, anche se funziona meno rispetto al vedersi in prima persona.
Un altro elemento degno di nota è che gli italiani sono gli utenti avidi di telefoni cellulari (…) è comune per le persone di avere più di un telefono cellulare.
Questo fa sempre parte dell’apparire, avere un cellulare costoso e un simbolo. Se poi aggiungiamo che siamo più impegnati in aperitivi che al computer a costruire la nostra autorevolezza on-line… :D
Ho chiesto il parere di Enrico Bisetto, socio dell’azienda Sestyle, tra le migliori che conosco ad occuparsi di personal branding in Italia che gentilmente mi scrive: “Come, giustamente, mi è stato fatto notare, 800 parole di limite massimo per un articolo sull’argomento non sono certo sufficienti per una trattazione approfondita e “scientifica”. Nonostante questo limite, però, sono rimasto deluso da alcuni stereotipi da cartolina (o commedia leggera) che potevano essere tranquillamente evitati. Ad esempio, perché enfatizzare l’importanza di un abbigliamento consono? Non è, infatti, così anche nel resto del mondo (pensiamo ai mugugni a Wall Street per l’abbigliamento di Zuckerberg alla presentazione di Facebook in borsa)? Che valore aggiunto dà, alla comprensione del brand personale in Italia, sapere che noi italiani gesticoliamo molto? Se altri aspetti che sono stati messi in luce (il ritardo nell’innovazione tecnologica, una certa gerontocrazia, l’importanza di conoscenze e “raccomandazioni”) sono indiscutibili e fondamentali per capire l’approccio italiano al personal branding, colpisce comunque la prospettiva da “forestiero”, direi quasi da turista, che il post ha nel suo complesso. Sarebbe stato meglio, com’era stato proposto all’ideatore di questa “blogathon” internazionale sul Personal Branding, se l’articolo fosse stato scritto da un italiano che poteva dare, oltre ad un’immagine più obiettiva, anche dei chiarimenti sul perché di alcuni comportamenti (uno per tutti: siamo latini, se amiamo la comunicazione verbale e abbiamo molti cellulari è perché per noi “social” significa prima di tutto relazione).”
Le conclusioni sono scontate: l’italiano è bello, si veste bene, mangia bene, ama il sociale (anche i social network, dico io), cerca di “paracularsi” attraverso le amicizie, non sta fermo con le mani quando parla, adora gli smartphone (che poi usa per andare sui social e giocare) e non ama essere relegato in ufficio.
Ci ha risparmiato il mandolino, alcuni stereotipi ci stanno faticosamente lasciando per fortuna.
Avete ragione sugli stereotipi e sul fatto che di personal branding italiano avrebbe dovuto scrivere un esperto italiano e non quel tipo.
Non mi trovate invece d’accordo su Zuckerberg. Se si fosse presentato a Wall Street in giacca e cravatta, non sarebbe stato lui, ma avrebbe recitato una parte.
A me piace vedere una persona per ciò che è veramente. E, anche se a me Facebook non piace, Zuckerberg con la sua felpa è arrivato molto più lontano di tanti altri che vestono in giacca e cravatta.
PS: se non si è capito, ho un’avversione profonda verso giacca e cravatta :D
Hanno dimenticato di scrivere che ogni volta che pranziamo dialoghiamo con il nostro piatto in questa maniera: “Spaghetto, tu m’ hai provocato e io me te magno”