Se dovessi smettere di offrire i miei servizi, quanti sentirebbero la mia mancanza?
Con che facilità potrei essere rimpiazzato?
Fino a che punto le mie radici affondano nelle abitudini dei miei clienti?
Per chi, come me, vive della fiducia che ispira nelle persone, l’obiettivo non è mai una singola fattura, né tantomeno il fatturato nel suo complesso. Questi sono solo una conseguenza di quanto la fiducia sia ben riposta e confermata.
Per essere un imprenditore non ti candidi, non ricevi un attestato o uno stipendio, nessun reclutatore ti sceglie: sei tu a scegliere.
Essere un libero professionista si traduce nell’opportunità di offrire una soluzione a chi ha un problema da risolvere.
Ho scoperto che se risolvi un problema piccolo, poi uno più grande e infine uno enorme, diventi amato, ricercato e insostituibile.
Molti pensano che siano gli strumenti a fare la differenza, ma l’hardware e il software non sono altro che soluzioni potenziali: nelle mani di persone inconsapevoli, aumentano la portata del problema. Usare una stampante 3D, un trapano o un trattore richiede competenze specifiche e capacità di organizzazione.
Uno strumento può essere replicato all’infinito e occupa una fetta di mercato, mentre l’essere umano, con la sua esperienza, sensibilità ed empatia, è una risorsa unica e finita.
Eppure vedo alcuni che cercano di industrializzare qualsiasi servizio, nel tentativo di “standardizzarlo” in modo da renderlo prevedibile attraverso regole, processi o ricette. Il loro obiettivo – legittimo – è trasformarlo in qualcosa di replicabile, quindi in un fatturato certo.
Per me, essere un professionista significa risolvere i problemi dei miei clienti, vederli sorridere e andarne orgoglioso.