Non esiste il marketing senza contenuti. Non esistono relazioni senza contenuti. Se togli il contenuto viene a mancare il motivo per attrarre le persone interessate a te, alla tua azienda o i tuoi prodotti.
Negli ultimi vent’anni abbiamo ottenuto nuovi modi per mostrare contenuti in canali veloci, usa e getta, in cui realizzare, distribuire e creare interesse. Alcuni hanno caratteristiche di velocità tali da renderli appetibili per chi vuole assorbire tanti contenuti velocemente, tuttavia questo è anche un grosso limite dal punto di vista dell’attenzione che puoi ottenere da essi.
Se parli attraverso le immagini, il contenuto più veloce che puoi realizzare è una foto in cui mostri un mondo felice. Nessuno si pone (e ti pone) domande se ti vede felice, soddisfatto o in un contesto gioioso. In realtà questo è il contenuto che ottiene meno attenzione rispetto a qualsiasi altro.
“La felicità è un’immagine, l’infelicità è una storia”
da “Anna Karenina” di Lev Tolstoj
L’interesse dell’altro non nasce da un’immagine felice, ma da cosa l’ha provocata. Se ti mostri sorridente in riva al mare, con l’aperitivo, non è una storia. La storia segue un filo in cui lo schema più semplice è dato da: prologo, conflitto e soluzione. Diventi interessante quando racconti, in modo autentico, quello che hai dovuto passare per ottenere qualcosa.
“Potrebbe essere che anziché dedicare più tempo alla ricerca di una piattaforma più efficace, si possa trarre profitto dal sondare e sforzarsi di capire il cambiamento che si cerca di ottenere. Se non riesci a influenzare una persona in una riunione faccia a faccia, tutta la tecnologia del mondo non ti aiuterà a cambiare un milione di persone”
da “On finding something to say” di Seth Godin
Nessuno ti chiede come stai se ti vede felice e nessuno ti ascolta se mostri sempre e solo il tuo lato migliore.
Per ottenere l’attenzione di chi hai di fronte devi mostrare le tue vulnerabilità e come puoi aiutare chi ti ascolta a risolvere le sue. Perché la storia più convincente che puoi raccontare ha una leva che si chiama “identificazione”.
Riccardo con questo post ti sei superato, veramente emozionante!
In una recente conferenza sull’ansia ho parlato di come 20 anni fa risolsi un problema di come vedevo una situazione. Le persone sono state attentissime e la mia spiegazione ha dato loro la possibilità di comprendere il senso del discorso.
Grazie Riccardo
Grazie Edmondo, serve anche a me il tuo racconto!
Ciao Riccardo, solo ora ho capito rileggendo la tua risposta. Vuoi sentire il mio racconto?
Ma certamente, daje!
Chiarissimo! Bellissimo!
Grazie, Riccardo!
Grazie Marisa, gentilissima!
Semplicemente Bravo!!!
Grazie amico!
Dunque, in linea di massima sono d’accordo. Sia quando scrivo che quando leggo di sicuro cerco di imparare qualcosa, ma per farlo devo identificarmi nello stesso “problema” o “bisogno” descritto dall’altra parte.
Però ci sono persone che questa identificazione l’ottengono proprio attraverso le immagini, pensiamo alle fashion blogger. Non mostrano sempre il loro lato migliore? Magari lì l’identificazione non è sul “chi/come sono” ma sul “chi/come vorrei essere”?
Se cerco idee su cosa indossare al party in spiaggia, certo :)