Siamo circondati sempre di più da profili che ci insegnano a credere in noi stessi, da persone che dicono “se vuoi puoi” e da libri che parlano di successo personale. Sui social è un fiorire di contenuti pubblicati per spronarci a essere leader di qualcosa o di qualcuno.

Eppure ho scoperto che dire a chi hai di fronte “credi in te stesso” è inutile, se non deleterio. Nessuno di coloro a cui viene detta questa frase cambia modo di pensare o la sua vita grazie a questa nuova consapevolezza.

L’esortazione “credi in te stesso” non è una novità degli ultimi anni. Me la sono sentita dire molte volte quando ero agli inizi, da persone più anziane o più esperte di me, e ricordo ancora l’effetto che mi faceva: aumentava la mia frustrazione e aggiungeva un carico emotivo poiché, oltre a non riuscire bene in un determinato ambito, iniziavo a pensare di essere io il problema, di non avere la spinta o la carica giusta. Mi sentivo carente sia a livello psicologico sia dal punto di vista delle competenze. Pronunciare questa frase allontana il risultato, non lo accelera.

Non sono uno psicologo, non ho competenze in materia e questo post non parla di te, parla di me; tuttavia, ho realizzato che c’è una buona alternativa al credere in sé stessi: la diffidenza. Ho scoperto che devo lavorare sulle mie competenze e non devo fidarmi, ma verificare. Non devo credere ma applicarmi con dedizione. Un passo alla volta. Dal piccolo al grande, dal facile al difficile. Ogni giorno, con calma, senza interruzioni: lento e costante. 

Quando inizio qualcosa è come un gioco in cui sfido il sistema e verifico fino a che punto posso spingermi, crescere e appassionarmi. Non ti nego che ho abbandonato molti progetti durante il percorso, ma se non l’avessi fatto non avrei mai capito chi sono e in cosa riesco bene.

Puoi, come ho fatto io, sostituire la frase “credi in te stesso” con la più realizzabile “impegnati in quello in cui credi”. Spostare il focus è un buon modo per ottenere il risultato.