“Nella vita non vediamo le persone per come sono, ma per come le immaginiamo noi”, così ha esordito Michael Tsur, docente presso la Hebrew University di Gerusalemme e ideatore di un metodo per la gestione delle trattative complesse e delle negoziazioni di ostaggi, nel recente evento di Milano organizzato da Performance Strategies.

Per attitudine personale non mi sono specializzato nelle tecniche di vendita, essendo più incline a quella che le precede: il marketing.
Nell’intervento di Tsur, a cui ho assistito, sono rimasto letteralmente affascinato dal suo metodo, dalla sua filosofia e dalla praticità immediata dei suoi insegnamenti che provo a raccontarti, sinteticamente, in questo post.

Il metodo TSUR

L’essere umano soffre di un male congenito: pensa di conoscere e presume di sapere chi sia la persona che ha di fronte e quali siano i suoi bisogni.
Michael ha raccontato che, quando era bambino, suo padre Yoav gli proponeva “un penny per conoscere i tuoi pensieri”. Era disposto a investire una monetina in cambio di ciò che pensava suo figlio. Questo insegnamento è stato di grande impatto per Michael che, da quel momento, ha compreso che “la negoziazione avviene nella testa dell’altro”.
Non ci sono trucchi ma metodi; quello che utilizza e che ci ha donato durante il suo intervento è una tecnica per individuare la “zona di possibile accordo”. È lì che avviene l’incrocio della domanda e dell’offerta, tuttavia in una trattativa commerciale, come avviene in quella in cui si trattano ostaggi, molto è delegato alla capacità empatica del mediatore. Che non presume. Parte da un foglio bianco su cui tracciare i limiti di un eventuale accordo.

“Si tratta di risparmiare frustrazione e risorse. Educare gli altri o cambiarli non è il compito di un venditore”

La negoziazione consiste nell’ampliare i dati da analizzare. Un’indagine in cui vengono premiate le persone curiose e aperte mentalmente.
Uno degli aspetti da considerare, quando si prepara una trattativa è l’acronimo P.T.A.P., ovvero: Partecipanti, Tempistica, Atmosfera e Posto. Uno qualsiasi di questi fattori può influire molto sull’esito tanto che, a volte, basta cambiarne anche solo uno per risultare efficaci.

Il metodo inizia con l’assunzione della consapevolezza che non sai chi hai di fronte, anche se pensi di saperlo. Una o più domande specifiche rivolte a questa persona potrebbe dipanare dubbi o false percezioni. L’intento è creare una comunicazione costruttiva.

“Se parli di chi hai di fronte questo starà ad ascoltarti per ore”

Ci sono parole e atteggiamenti che sono da evitare accuratamente, per non mandare in fumo qualsiasi dialogo o affare.
Il possibile cliente, nel 90% dei casi dirà dei “NO”, altrimenti non parleremmo di tecniche e chiunque potrebbe dedicarsi con successo all’attività di vendita.
La base di partenza di qualsiasi trattativa è ricevere uno o più “NO”.
Una cosa che non si deve MAI fare di fronte a un no è chiedere “perché”. In una condizione di stress l’autoconsapevolezza del cliente è ridotta, e chiedere perché, potrebbe risultare provocatorio, irritante e causare un danno irreversibile alla relazione. Il “NO” si accetta e basta.

“Se ti ascoltano significa che sono interessati, anche se le risposte sono dei NO, è fondamentale comprendere se il NO ha dei margini di apertura”

Si possono fare ulteriori domande riguardanti la visione e le aspettative del possibile cliente.
“La vendita non riguarda il servizio, riguarda la comprensione della aspettativa dell’altro”.

Un’altra parola delicata che andrebbe evitata è “IO”. “Quando pronunci la parla “IO” in un ambiente di affari sveli che sei sotto stress. Hai appena staccato un assegno in bianco e personalizzato la situazione rendendoti debole. Se dici la parola “IO” l’altro sentirà che stai faticando e quanto aumenti lo stress aumenti la distanza”.

Una cosa da non fare è lasciar gestire il tono della conversazione al possibile cliente. Chi gestisce il processo determina il risultato. Se qualcuno urla e, di rimando, anche tu urli alla fine è la controparte che ottiene il risultato, perché ti ha portato nel suo ambiente.
In un aereo quando chiedono di togliere le cuffie, alzare il tavolino, aprire la tendina lo fanno anche per verificare l’atteggiamento o la lucidità del passeggero e dimostrare chi comanda sull’aereo. Meglio verificare subito, a terra, se ci sono problemi con le persone, che scoprirlo a 10.000 metri di altezza.

“Chi controlla il processo ha un forte impatto sul risultato”

Uno dei comportamenti in cui è facile inciampare è il sarcasmo. “Quando qualcuno ti propone sconti o condizioni umilianti cosa devi fare? In Italia ho notato che quando qualcosa appare come folle si risponde con il sarcasmo”.
Ad esempio potresti erroneamente rispondere: “Lo vuoi anche su un piatto d’argento?”. Il sarcasmo è aggressivo. Nel mondo degli affari è normale fare richieste e la risposta sarcastica è sempre fuori luogo. Il consiglio di Michael a chi riceve una proposta irricevibile consiste nel ripetere lentamente parola per parola ciò che è stato detto. Questo obbliga a riflettere sulla proposta folle chi l’ha fatta, crea una maggiore consapevolezza e permette a chi la riceve di tenere le redini della trattativa.

Conclusioni

Quello che mi è piaciuto è il metodo in cui l’ascolto è la parte più importante della trattativa. Non si parte mai dando qualcosa per scontato e, soprattutto, non si comincia con una proposta di sconto, che a qualcuno potrebbe risultare paradossalmente offensivo, ma con la reale comprensione dei desideri e delle aspettative dell’altro.
“Negoziare non è vendere. La negoziazione non si basa sulla vendita, ma sul creare i presupposti per una relazione”.
La relazione è il fine ultimo di qualsiasi trattativa: come dicevo prima, basta cambiare alcune variabili e il risultato cambia. Quindi perché precludersi il rapporto solo per una mancata vendita?

“Ogni mattina do un bacio a mia moglie e quel bacio non è per oggi, ma per domani. La reputazione che riusciamo a trasmettere si traduce in benevolenza. È tutta una questione del giorno dopo. Quello che facciamo oggi serve per garantirci un futuro”.

Quindi alla fine, anche nella mediazione e nella vendita, si arriva sempre al marketing e, in particolare, al branding. Questo mi conforta e mi fa pensare che anche se sono un pessimo venditore, forse ho combinato qualcosa di buono nell’aver costruito ottime relazioni con una grande quantità di persone online e offline.