Dieci anni fa abbiamo preso un grande abbaglio: abbiamo immaginato che i social network fossero un luogo aperto e connesso nel quale ricercare un pubblico e perseguire il nostro scopo. La maggioranza di noi ha creduto a questa visione e si è prodigata pubblicando messaggi di stato, foto e video con cui intercettare un potenziale pubblico interessato. Alcuni tra noi hanno addirittura tentato di vendere – attraverso promozioni a pagamento – a un pubblico che non ci conosceva.
Successivamente, si è scoperto che gli interessi delle piattaforme non si allineavano con i nostri progetti, ma soprattutto con quelli delle masse che utilizzavano i social per distrarsi o per sfogarsi. L’effetto fu che la foto di un cucciolo, un argomento controverso di attualità o un delirio motivazionale avevano la meglio su qualsiasi contenuto approfondito. L’algoritmo, a parer mio, si è comportato in maniera neutra, non poteva fare altro che assecondare le scelte dei propri iscritti, pena l’abbandono degli utenti che apprezzano gli argomenti tipici di un mesto bar di provincia.
Di errori ne abbiamo commessi tanti, soprattutto nel comprendere i reali bisogni e le motivazioni del pubblico e nell’interpretare le piattaforme e la loro necessità di anteporre il loro business al nostro. Ora, a forza di sbatterci i denti, una buona fetta di chi “anticamente” si fregiava del sedicente titolo di Social Media Manager ha compreso che i contenuti non sono tutti uguali e sono il veicolo per ottenere i propri scopi solo se il livello di fiducia e attenzione di chi li apprezza è alto.
Due necessità che coincidono
Sono sia un fruitore che un erogatore di contenuti. Ho verificato che non è possibile per me utilizzare i social network per informarmi, ma non perché non ci sia gente che pubblica contenuti interessanti, semplicemente perché è troppo dispendioso farlo. Posso dedicare una quantità di tempo limitato ad informarmi e questo tempo deve essere ottimizzato. In questi ultimi anni sono tornato al passato, sto evitando il rumore di fondo dei messaggi di stato e delle battute da bar, nel tentativo di ridurre le fonti e liberarmi degli algoritmi che decidono al posto mio cosa sia da leggere o da vedere. Se questa è la mia necessità, ho immaginato che lo sia anche per chi mi segue e ha riscontrato lo stesso problema. Quindi due anni fa ho aperto una newsletter, ho rivalutato il Blog, ho aperto un canale Telegram nel tentativo di isolare chi apprezza i miei spunti da chi mi segue su Facebook per sbaglio o senza un reale motivo.
Il post che stai leggendo lo scrivo sul mio Blog perché non lo avrei mai potuto scrivere su Facebook, infatti lo riconosce anche la piattaforma stessa in un suo articolo: “Secondo i dati dello Statistic Brain Research Institute, i pesci rossi hanno un’attenzione di 9 secondi, mentre la durata media dell’attenzione umana è diminuita del 33% dal 2000 a soli 8,25 secondi nel 2015. Quindi, in questi giorni, il pesce rosso potrebbe dire: “Hai la capacità di attenzione di un umano””. In un secondo post in cui parlano di contenuti video, hanno scritto che nelle “News Feed su Facebook, vediamo che le persone trascorrono, in media, 1,7 secondi con un contenuto sui dispositivi mobili rispetto ai 2,5 secondi sui desktop”. La stragrande maggioranza di questi ha l’audio disattivato.
Quindi i social network sono i luoghi in cui hai pochi istanti per catturare il pubblico: se sbagli le prime quattro parole nessuno si ferma e chi ti osserva ha spesso lo stesso obiettivo che hai tu: ottenere attenzione.
Qualche giorno fa ho osservato sulla news feed di LinkedIn un professionista che, nonostante abbia un nutrito seguito e tanto engagement, sulla foto profilo aveva la scritta verde “open to work” e si lamentava di non trovare lavoro. Questo è il problema. I messaggi di stato che hanno la capacità di muovere migliaia di persone a interagire potrebbero non essere in grado di garantire per te e innescare la necessaria fiducia in chi ti osserva.
I contenuti non sono tutti uguali e il luogo in cui vengono pubblicati neppure. Ho sbagliato in passato e imparato che 100 lettori di un articolo di 700 parole come questo producono più clienti e opportunità di un post motivazionale, provocatorio o controverso da 1.000 like.
La qualità dell’attenzione paga, la quantità di like ci fa solo sentire appagati.
Che articolo spettacolare! Grazie! Condivido con te l’amara sensazione di disorientamento quando si aprono i social.
Sono tornato ad informarmi con la carta stampata per ri-educare il mio cervello a rimanere concentrato su un articolo/argomento per 5/10 minuti di fila (cosa che a volte sembra uno sforzo sovrumano).
Grazie Guido!
Caro Skande,
mi conforta leggere quanto scrivi e mi da conferma che aver chiuso FB era un passaggio obbligato.
Sono stato tentato parecchie volte anche io in questi ultimi due anni :D
Guido hai perfettamente ragione.Ho approfittato di questo anno particolare per approfondire le mie competenze sui social ma resto fedele alla dimensione del blog .Adoro leggere articoli interessanti e approfondire e sui social sono perennemente distratta e mi assale una sensazione di superficialita’ e passivita’
Ciao Skande.
Dopo tanto tempo torno a leggerti (e a risponderti) sul tuo blog.
Hai ragione – ma del resto il mio comportamento è stato così fin dall’inizio – per leggere post come questo devi essere sinceramente interessato e lo puoi fare solo andando alla fonte. Ho pubblicato molte storie ad aprile, e ora sto pensando di aprire una newsletter. Non so ancora come verrà, ma voglio provarci.
Ciao SIlva, devi farla assolutamente. Per me è stata una piacevole scoperta, anche se tardiva
Esatto rapido e leggero tre su cinque. Rimani sempre un esempio di efficacia comunicativa. Grazie.
Grazie amico mio!
Come al solito tocchi il punto. Il grande problema di oggi, secondo me, è la difficoltà di reperire informazioni da fonti attendibili. Ci sono schiere di persone che si informano sui social network, ne conosciamo almeno una ognuno di noi, con conseguenze disastrose sotto tanti punti di vista. La domanda è sempre la stessa…una volta si diceva: “l’ha detto la tv” per esprimere attendibilità. Ora: “l’ho letto su internet”. Purtroppo è così. Non ho una soluzione, purtroppo. Anche io, spesso, faccio fatica a trovare fonti serie e attendibili. Quotidiani? Blog?
Si gioca tutto qui. Io intanto leggo Skande, che ci azzecca sempre!
:)
Ciao Riccardo
Sui social a mio avviso bisogna selezionare le fonti, ovvero seguire persone autorevoli che portano contenuti di valore. In questo modo secondo me funziona l’informazione.
Capisco quello che dici quando parli di algoritmo che sceglie per te cosa vedere. In questo caso il rischio è polarizzare l’informazione sempre sulle solite idee. È un rischio concreto quindi bene che se ne parli per sensibilizzare le persone.
Sono assolutamente d’accordo con te Riccardo , da quando ti ho scoperto su LinkedIn ti apprezzo sempre di più , e cerco di fare tesoro dei tuoi insegnamenti .
La moda dei social network ha travolto tutto e tutti bisogna però saper selezionare le notizie e personalmente filtrare i contenuti dalle fake .
Considerando che faccio il rappresentante di prodotti farmaceutici da 30 anni grazie ad una Azienda leader vendo prodotti per tante patologie di automedicazione , non puoi immaginare i famosi algoritmi cosa mi propongono ogni giorno , e proprio vero che il telefono ti ascolta e ti propone di acquistare qualsiasi cosa ma essendo esperto del settore riesco a capire il bene dal male , anche se tanta gente pseudo esperta magari dice il contrario e potrebbe facilmente ingannare i meno esperti in materia .
La verità. Solo la verità.
Finito di leggere l’articolo ho avuto la stessa sensazione che ho avvertito davanti a una tela di Lucio Fontana: “Perché non l’ho fatta io?”.
Illuminante, come sempre.
Sei un faro faro Riccardo. Anche grazie a te sto tornano ad aggiornare il più possibile il mio blog.
Ciao Riccardo. Mi spiace ma non concordo del tutto con quello che dici.
O meglio…
Condivido che i network, specie FB, Instagram e TikTok non siano il posto per trovare informazioni e formarsi (diverso il discorso YouTube).
E condivido pure il discorso attenzione da pesce rosso.
Ho una newsletter e vari blog e infiniti corsi e ho capito che FB non è il posto per portare e fare consumare contenuti di qualità.
È però evidente che soprattutto molte giovani leve sono partite sfruttando principalmente i network (e non parlo di ads ma organico) e hanno trovato un pubblico e clienti.
A mio avviso quello che manca a noi “vecchietti” è proprio questa capacità di essere bravi e rapidi a creare hook potenti da meno di 2′ e poi portare la gente giù per il funnel.
Siamo così abituati al vecchio e lento blog che sta cosa ci mette in difficoltà pesante.
Lato profondità dei contenuti e delle analisi li stracciamo, ma nello sprint iniziale ci fanno a pezzi.
La sfida a mio avviso è proprio questa. Trovare il modo (e la voglia) di reinventare la parte su cui siamo più deboli e che sta facendo perdere terreno alla vecchia guardia a discapito di tanti scappati di casa ma fottutamente rapidi nel creare micro-contenuti e intercettare i bisogni di un certo tipo di pubblico.
P.S. Io resto sempre per le affiliazioni e marketing di relazioni, interviste, partnership ma è innegabile che la gran massa della gente (nostri prospect inclusi) è sui social e servono nuove strategie per portarli nel nostro mondo.
“La qualità dell’attenzione paga, la quantità di like ci fa solo sentire appagati”
Spesso la vanità ci fa scambiare l’attenzione con un fugace sguardo. Un lavoro ben più strategico e lungo il primo che bisogna però saper fare.
Veramente super interessante. Grazie mille
Oggi ho sentito la necessità di tornare sull’argomento caro Riccardo: http://bit.ly/social-morti
Un articolo stupendo! Lo stile di scrittura è pura meraviglia, il contenuto mi piace per la posizione presa che condivido pienamente. Questo è il blogging che mi appassiona.
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