Per gioco, qualche giorno fa, ho chiesto a ChatGPT di scrivere un contenuto sulla paura del cambiamento. Nel giro di pochi istanti, ha generato un concentrato di luoghi comuni che ha sicuramente assorbito in chissà quali imbarazzanti libri o siti web con cui è stata addestrata
Ha sviluppato un tripudio di frasi fatte, come “diventa la migliore versione di te stesso”, “devi amare il cambiamento” e ha concluso con l’urgenza di “lasciare la zona di comfort” e “surfare l’onda del cambiamento”.
Sembrava di essere appena usciti da un meeting motivazionale degli anni ’80, dove alla fine si è ballato al ritmo di Eye of the Tiger dei mitici Survivor.
Non fraintendermi: sono tutti concetti che ritengo abbastanza giusti, ma è il tipo di retorica che andrebbe ‘spolverata’ per adattarla alla sensibilità maturata in questi anni. Il problema ora non è motivarsi, ma vincere la paura, il vero male di una società che vive nell’ansia del confronto sui social network.
Nel mio ultimo libro sostengo che la paura è il killer dei nostri sogni. Amiamo pensare a noi stessi come diversi, migliori e più coraggiosi. Non ci mancano i sogni, ma solo il coraggio di provare a realizzarli.
Più aumenta l’esperienza (vedi come sto evitando di parlare di età?), maggiore è la consapevolezza di quanto ci costi una scelta sbagliata, un errore, o quanto alcune certezze che ritenevamo tali si rivelino illusioni. Il muscolo del cambiamento è elastico finché non viviamo sulla nostra pelle piccoli e grandi fallimenti, che ci fanno rimanere incastrati in regole sociali, impegni economici e che ci fanno temere il giudizio degli altri.
Spesso non siamo noi a cercare il cambiamento, è lui a cercare noi. E non amiamo quando si presenta sotto forma di lutto, licenziamento o battuta d’arresto; insomma, quando ci viene imposto. L’unico cambiamento che ci piace è quello che ci migliora, che scegliamo o che ci costa poca energia emotiva.
Sui social come LinkedIn vedo tanti post sul cambiamento: funzionano perché hanno una grande presa sul pubblico, predisposto a migliorare la propria condizione lavorativa.
Forse è più semplice illudersi di voler cambiare acquistando un libro, partecipando a un evento o iscrivendosi a un corso, piuttosto che pensare seriamente a cosa fare con le competenze che si possiedono, le energie e le risorse che si possono consumare o perdere nel tentativo di riuscirci.
È sicuramente più facile acquistare un’illusione per mettere a tacere la nostra coscienza. E ancora più facile – per non sbagliare – comprare quello che comprano tutti gli altri.
Viviamo in un’epoca straordinaria, che offre innumerevoli gradi di libertà e in cui è possibile connettersi senza sforzo con chiunque. Eppure, invece di apprezzarla, siamo paralizzati dalla paura, una paura così diffusa da essere quasi invisibile ormai, anestetizzati come siamo dalle scuse accampate da noi stessi e da chi ci circonda.
Abbiamo più scelte, più opzioni e più risorse di qualsiasi altra generazione nella storia umana. La paura è l’unica serratura del cassetto dei nostri sogni.
La paura di fallire, di non essere all’altezza, di perdere tempo o risorse, di fare scelte impopolari, la conosco bene. Riconoscerla è fondamentale, perché hai ragione: è l’unica serratura del cassetto dei sogni. E ogni volta ho scelto di trovare la chiave, ma spesso mi ritrovo comunque bloccata.
Oggi abbiamo più possibilità che mai, strumenti che le generazioni passate non potevano neanche immaginare. Penso a mia nonna e al suo caseificio: se avesse avuto i mezzi di comunicazione di oggi, chissà dove sarebbe potuta arrivare! Eppure, ai suoi tempi, paradossalmente, sembrava tutto più semplice. Oggi siamo costantemente sotto giudizio.
Il coraggio di essere autentica non mi manca, di sbagliare nemmeno, ma la verità è che provarci non basta. Ogni giorno è una lotta psicologica. Pubblico un video su YouTube per aiutare chi vuole comprare casa e trovo commenti sugli occhiali che porto o sul mio taglio di capelli, anche se non parlo certo di moda. Provo a rendere più accessibile il mio lavoro e mi espongo con un inglese imperfetto, che gli stranieri apprezzano perché finalmente capiscono… ma arriva puntuale chi deve sottolineare che non lo parlo bene.
È una continua rottura di p@xxe! E sì, diciamolo pure: chi critica non è mai quello che sta costruendo qualcosa. Aggiungiamo anche che, se arrivano commenti, significa che sto facendo rumore. Ma non sono così convinta che si possa parlare di libertà. Non stupirti se molti evitano di sfruttare gli innumerevoli strumenti della nostra epoca!