Alcuni amici e colleghi mi dicono che amano scrivere e farebbero solo quello nella vita. Poi vado a leggerli e mi annoio terribilmente, perché non riescono a coinvolgermi o a farmi trovare motivi di interesse in quello che raccontano.
Personalmente non amo scrivere, come attività fine a se stessa che, aggiungo, mi costa tanta energia. Serve tempo e passione per trovare un argomento interessante, per esporlo nel modo corretto e per scovare tutti gli elementi necessari a renderlo efficace. Un contenuto ben confezionato e incisivo è un concentrato di sforzo intellettuale e di stile.
C’è un solo motivo che mi spinge a scrivere: immaginare la gratitudine, lo stupore o la benevolenza di chi ha realmente bisogno di quello che sto producendo. Scrivo per questo. Immaginando, senza avere conferme, la gratitudine in chi legge. Probabilmente una sorta di egocentrismo basato sulla suggestione.
L’empatia si impara dagli errori
Non voglio fare il fenomeno, perché anche io ho iniziato a scrivere i post di questo blog partendo dal come e relegando le ragioni e la motivazione ad una funzione secondaria. Questo accade perché quando comunichiamo abbiamo già realizzato il motivo che ci spinge a farlo e presumiamo che chiunque abbia la stessa predisposizione. Per chi volesse approfondire, Simon Sinek ha scritto diversi libri a riguardo.
Il mondo del blogging professionale, è pieno di contenuti sul cosa e come, ottimi per il posizionamento su Google, ma estremamente carenti rispetto ai motivi per cui bisognerebbe dedicarsi a una determinata attività. È vero che il “cosa e come” danno ottimi risultati nei motori di ricerca, ma è altrettanto vero che non hanno lo stesso appeal sui social network, dove le persone sono alla ricerca di visione, idee o suggestioni. Oppure vorrebbero sapere come ottenere un determinato effetto, ma non lo sanno ricondurre ad una tecnica precisa. In altri casi hanno un problema latente di cui si rendono conto unicamente quando viene fatto loro presente. Fare contenuti testuali (vale anche per i video) per i motori di ricerca o per i social network sono due pratiche estremamente diverse. Se su Google e YouTube le persone cercano soluzioni, sui social si aspettano idee, suggestioni e stimoli.
Alle persone non interessa quello che sai o fai fino a quando non comprendono quanto sia loro utile.
L’empatia è un elemento di cui si parla più di quanto lo si pratichi. L’empatia si realizza quando il lettore esclama: “Finalmente qualcuno che capisce cosa sto passando”, oppure: ”Quindi, non sono l’unico ad avere questo problema”.
Sui social network paga essere accessibili, vulnerabili, mettersi sullo stesso piano delle persone con cui interloquiamo. Se ti emoziona scriverlo, probabilmente emozionerà anche chi legge. Scrivere è una trasmissione di energia e conoscenza in cui l’autore si immedesima nel lettore. Questo è quello che ho compreso in questi anni.
Comunicare significa farsi carico del problema di chi ti ascolta. Se la direzione è univoca e non c’è scambio tra domanda e offerta, non funziona. Se non comprendi cosa emoziona il tuo lettore non entrerai mai in sintonia con lui. Se chi ti osserva non comprende quanto tu sia loro utile non si interesserà mai a te e a quello che fai.
Ciao Riccardo, in effetti quello che esponi nell’articolo corrisponde esattamente al mio pensiero, quando cinque o sei anni fa ho iniziato a leggerti. Con mia grande sorpresa scoprii di non essere il solo a pensarla come te, finalmente non ero l’unico. E non so se puoi immaginare cosa vuol dire sentirsi unici a pensarla in un dato modo. Soli. Ecco cosa hanno rappresentato per me i social, a non sentirsi più solo, nel proprio pensiero, nelle proprie intuizioni. Tu e Rudy rappresentate le due metà di un unica mela e un po’ vi invidio, l’ho ammetto, ma l’affinanza intellettuale che riuscite a trasmettermi è incredibile. Un grande abbraccio.
Anche quando scrivi ti accorgi che non sei solo, alla fine il tuo pubblico ti assomiglia perché ti hanno scelto per come sei. Questa è una cosa bellissima che funziona sia online che offline. Grazie Amico!
Condivido questo approccio. E aggiungo:
“Un MUST dei maggiori scienziati informatici del mondo ha dimostrato che il costo del trasporto delle onde sonore nella parte posteriore del sole è il modo migliore per creare una serie di immagini del tipo che può essere risolta. È anche perché lo stesso film è un prototipo speciale.”
Non sto delirando, sto solo citando il risultato di un esperimento in cui una IA (un robot-scrittore), basandosi su articoli di scienza e tecnologia appresi in precedenza, ha prodotto un testo di sua iniziativa.
Scrivere (e leggere) è qualcosa che va oltre la trasmissione di informazioni. C’è molto di più in realtà: la sfida è che questo qualcosa raggiunga il lettore, passando attraverso la Seo e la readability. Risorse utili percarità, ma che rischiano deviare l’attenzione dall’obiettivo principale di cui parli nell’articolo.
Per fortuna, scrivere è un’attività troppo complessa perché le IA possano sostituirci, è qualcosa di più che prendere informazioni, tradurle in significanti di comune comprensibilità, capaci di attrarre l’attenzione degli spider.
Ed è per questo che, sebbene il web sia pieno di parole, scrivere con professionalità e passione può fare la differenza.
Un saluto
Sono convinto anche io che l’IA potrà fare degli ottimi contenuti su previsioni del tempo o analisi di risultati finanziari, ma non riuscirà mai a replicare “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway
L’IA non è progettata per scrivere “Il vecchio e il mare” la creazione automatica di contenuti nei testi più lunghi di un dispaccio d’agenzia passa dalla competenza del trasmettere emozioni e storia.
capire il “why” ed inserirlo nel modo in cui si scrive da la differenza tra scrivere un blog post o un tutorial.
Mentre un post può ispirare, dare spunti interessanti e dare anche un’idea di come sia caratterialmente l’autore. Un tutorial mostra il “come” ed è solo una sequenza di passi…
Utilissimo pure quello, ma ha una funzione ben diversa