Ora che abbiamo compreso bene le logiche, i grandi benefici e gli enormi limiti della cosiddetta “Intelligenza Artificiale” possiamo dedurre in cosa consisterà il cambiamento che ci attende.
Quella che viene definita intelligenza, in effetti non lo è affatto. Gioca al “gioco dell’imitazione”, come aveva profetizzato Alan Turing. L’”intelligenza” è nei dati e nella capacità di estrarli e ricomporli attraverso regole matematiche e grammaticali. Ma solo se questi ricalcano schemi tipici, conosciuti e logici.

Un po’ come Google Maps. Conosce tutte le strade ed è capace di calcolare il percorso più veloce, conveniente, privo di traffico e con la vista migliore. Per poi mandarci una strada di terra battuta con grosse buche. Comunque, sempre meglio di quando non esisteva e abbassavamo il finestrino per chiedere.

Essere o apparire intelligente?
Il grande assente di questa tecnologia, che la renderebbe realmente intelligente è la coscienza. Essere presuppone la coscienza, ci avrebbe ammonito Platone, ma a queste macchine è sufficiente apparire.
L’AI serve a produrre analisi, determinare ipotesi, tradurre dati e testi, ampliare digressioni e generare modelli su specifiche indicazioni. Personalmente la trovo utilissima nel mio lavoro quando devo fare preventivi, tradurre da lingue diverse da quelle che conosco e nell’pre-editing dei testi. È decisamente migliore di me nel trovare accenti sbagliati. Ma non è affatto meglio di Chiara, la mia editor, che cura anche la verifica delle fonti, le cadute di stile o della coerenza dei termini che ho usato col mio posizionamento e molto altro.

Sono la voce di colui che grida nel deserto quando dico che l’AI non porterà via un singolo posto di lavoro a chi ha saputo gestire la propria reputazione, ha incrementato le sue competenze, il suo bagaglio culturale e coltivato relazioni sincere con chi è in grado di aprirlo alle opportunità.

Quando penso all’AI mi torna in mente un passaggio di “Will Hunting Genio Ribelle”, in cui Sean Mcguire (Robin Williams) fa una cruda analisi della personalità disturbata di Will Hunting (Matt Damon):

“Se ti chiedessi sull’arte, probabilmente mi citeresti tutti i libri di arte mai scritti. Michelangelo, sai tante cose su di lui, le sue opere, le aspirazioni politiche, lui e il Papa, le sue tendenze sessuali. Ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella Cappella Sistina. Non sei mai stato lì con la testa rivolta verso quel bellissimo soffitto. Mai visto!
Se ti chiedessi sulle donne, probabilmente mi faresti un compendio delle tue preferenze. Ma non sai dirmi che cosa si prova a risvegliarsi accanto a una donna e sentirsi veramente felici.
Se ti chiedessi dell’amore, probabilmente mi diresti un sonetto. Ma guardando una donna non sei mai stato del tutto vulnerabile.”

L’AI non ha paura di morire, soffrire, di sbagliare e non si emoziona per un cliente soddisfatto. Non ha un progetto di vita e non può ridere con noi davanti a un caffè. Non sa neppure di esistere, figurati se prenderà mai il tuo posto.