Sono certo che nessuno rimarrà sorpreso nello scoprire che il 68% degli utenti dei social network “abbellisce” gli eventi della propria vita e in alcuni casi addirittura inventa di sana pianta fatti mai accaduti. Questo emerge da un recente studio del dottor Richard Sherry, psicologo clinico e membro fondatore della Society for Neuropsychoanalysis, pubblicato sul Daily Mail.
La pratica di migliorare il racconto di sé, a cui aderiscono due terzi degli utenti, potrebbe essere visto con un sorriso di comprensione, se non fosse foriera di ulteriori e decisamente più ingombranti patologie. Secondo il ricercatore, “l’abitudine a mostrare un’esistenza diversa da quella reale può erodere l’identità personale”, può provocare il nascere di ansie e invidie verso chi percepisce abbia più successo nelle piattaforme sociali. La “paura di apparire noioso” e la gelosia verso i post più emozionanti degli altri incrementano la rivalità e gli attacchi personali.
In un’altra intervista Nathan Jurgenson, sociologo, ricercatore e teorico dei social media, descrive benissimo i motivi di questa trasformazione e li riconduce al metodo di funzionamento delle piattaforme: “Purtroppo il numero di followers, i like, i retweet non solo misurano il comportamento, lo modellano anche. Quando l’approvazione diventa numerica, contabile, siamo più invogliati a modificare il nostro comportamento per ottenerla. La popolarità non è un concetto nuovo, ma il poterla ricondurre a numeri, sì”. In cerca di un riscontro sociale fatto di interazioni, like e commenti, tendiamo a creare contenuti che stupiscano e che accentrino su di noi l’attenzione. La piattaforma li premia e di conseguenza anche noi abbiamo compreso che la via giusta è quella. Adattandoci a questi mezzi tenderemo alla esagerazione, all’emulazione e alla falsità. Il sociologo conferma che, “finché i clic e i like saranno l’unica valuta dei social media, un cambiamento radicale è difficile. Più traffico, più pubblicità. Ma nessun contenuto originale, solo un taglia e cuci di ciò che si trova online, impacchettato con titoli sensazionali”.
Abbiamo preso atto che la normalità non ha lo stesso successo della straordinarietà nelle conversazioni digitali già da tempo, e proprio come afferma Nathan, “le metriche non misurano la reputazione; nei social network, i numeri diventano il fine”. Considerare il numero di like un valore è la cosa più sbagliata che possiamo fare, come affermo da sempre, dobbiamo far percepire la nostra vera essenza con umiltà e senza eccessive manipolazioni; perché si sa, le bugie hanno le gambe cortissime.