Il gran numero di utenti italiani che ha recentemente scoperto la piattaforma lavorativa ne ha anche evidenziato criticità e opportunità. Il fenomeno più evidente e che possiamo apprezzare rispetto anche solo a un anno fa è che l’arrivo su LinkedIn del grande pubblico ha provocato l’allargamento dei temi trattati, che ora hanno assunto una “connotazione POP”.
Non è raro, infatti, vedere post che di professionale non hanno nulla e contenuti leggeri, quelli che, per intenderci, vengono condivisi su Facebook. Largo spazio a giochi matematici, cuccioli e selfie. L’arrivo dell’utenza allargata ha la caratteristica di ampliare e distrarre dal focus principale, che su LinkedIn, dovrebbe essere la conversazione di natura professionale.
Non sono tra quelli che bacchettano questo comportamento, anche se lo considero alla base dell’uso improprio della piattaforma. Di certo lo sconsiglio fortemente a chi volesse fare della piattaforma l’uso professionale per il quale è stata pensata, ma sono felice di vedere la vita e le sue opportunità.
Le opportunità di cui parlo si chiamano newsfeed e viralità! L’anno scorso non avrei minimamente immaginato che sarebbe stato possibile realizzare contenuti “virali” su LinkedIn. Ora sono quasi alla portata di tutti. Vediamo come e perché.
La newsfeed della piattaforma è spartana e in nessun modo paragonabile al diabolico algoritmo di Facebook, in cui le variabili che entrano in gioco, sono forse centinaia e permettono di calcolare elementi complessi come l’affinità o il tempo di permanenza. Non ho trovato nessun post di qualcuno che abbia raccolto e analizzato dati in merito. Le mie sono osservazioni empiriche e le utilizzo per tentare di mettere in evidenza quello che ritengo funzioni e che ho effettivamente visto che funziona. A fronte di questa precisazione, se qualcuno ha informazioni aggiuntive lo scriva nei commenti e sarò io il primo ad apprezzarle.
L’algoritmo si basa sul fattore tempo, unito alla quantità di interazioni, ma senza distinzioni di qualità o di maggiore o minore efficacia. Di primo acchito, sembra che le interazioni abbiano circa lo stesso peso. Di fatto, se siete collegati a 500 persone vedete le interazioni sui post e le loro preferenze, al pari di una condivisione. Questo aspetto rende la piattaforma incredibilmente interessante per viralizzare contenuti. In pratica, se condivido un articolo che ottiene buone interazioni, questo rimane a galla anche nella home di tutte le persone collegate a chi ha interagito con esso. Magnifico. Questo è il motivo per cui non è raro vedere interazioni su post anche molto datati.
Quando l’algoritmo premia quasi esclusivamente le interazioni, il contenuto che vince è quello che provoca una reazione. L’effetto è stato ampiamente verificato dal mio socio Rudy Bandiera (vedi immagine) e in precedenza da Simone Bennati che ha all’attivo numerosi piazzamenti. Normalmente su Facebook, se qualcuno commenta o mette il like su un post, ottiene un buon effetto, ma non così dirompente come accade su LinkedIn che rende immediatamente visibile l’interazione a tutte le persone collegate a chi l’ha compiuta. Di fatto, allo stato attuale delle cose, è sufficiente mettersi d’accordo con qualche collega che abbia un buon seguito, per far galleggiare un contenuto ad libitum nella newsfeed a suon di interazioni.
Credo sia opportuno, per i gestori della piattaforma professionale, cercare di risolvere questa criticità dell’algoritmo prima che sia abusata da chi ne è a conoscenza. Se volessimo vedere questa lacuna come un’opportunità o una strategia, il monito, nemmeno troppo implicito, è di collegare a noi persone che riteniamo affidabili, che non “consiglino” il selfie della procace segretaria rendendolo, inconsapevolmente, virale.