Inbound Marketing, termine coniato da Brian Halligan, descrive un metodo per promuovere aziende e prodotti attraverso blog, newsletter, social media e utilizzando tutte le forme attraverso le quali i contenuti servono ad attirare i clienti.
Al contrario delle chiamate a freddo, degli annunci su banner e dei post sponsorizzati, con questa tecnica, si guadagna l’attenzione degli utenti, si rende l’azienda facile da trovare, e si attirano nuovi potenziali clienti sul sito web, nel quale troveranno informazioni e risoluzioni di problemi anziché offerte e promozioni. Questa tecnica aumenta la considerazione del potenziale acquirente interessato, che maturerà stima per la persona o l’azienda che ha regalato le informazioni per lui preziose. Genererà ottima reputazione, utile a favorire le vendite. Famosa la frase di Guy Kawasaki che sosteneva “Se hai più soldi che cervello, dovresti concentrarsi sull’Outbound Marketing. Se hai più cervello che soldi, dovresti concentrarti sull’Inbound Marketing”. Cose che, probabilmente, sapete già.
Cambiano le regole del gioco
Facebook, il principale social network, entra di diritto nelle operazioni di Inbound Marketing per dragare utenti verso il blog/sito. Facebook è anche il social che sperimenta di più come fare per trattenere e intrattenere gli utenti ed è la piattaforma nella quale vengono maggiormente copiate le innovazioni all’algoritmo che fanno scuola sui social concorrenti (vedi LinkedIn e lo stesso Google plus).
Le recenti e diaboliche innovazioni della creatura di Mark Zuckerberg hanno introdotto il “tempo di sosta” (“Dwell Time”), già noto in ambito SEO con il nome “tempo di permanenza sul sito”. È utilizzato come una solida metrica per formare le SERP (i risultati nel motore di ricerca) ma anche in ambito di visibilità organica sui social network. (se avete voglia leggetevi: “Yahoo Scientists: “Dwell Time” Is A Better Metric Than Click-Through Rate”)
Gli effetti nefasti sull’Inbound Marketing
Se è vero che il tempo di permanenza su un singolo post di Facebook ne decreterà la visibilità organica nella news feed della home page, la nostra strategia di postare un link e una breve descrizione del sito è totalmente da ripensare. Da questo momento, sarà significativo, per la nostra visibilità, attivare l’utente direttamente sul post, coinvolgendolo nella discussione e infine mettendo a disposizione un link di approfondimento (a questo punto molto più indebolito). Pena, la non visibilità algoritmica.
Facebook vuole ottenere due benefici a suo esclusivo vantaggio: trattenere gli utenti sulla piattaforma e comprendere quali contenuti sono più rilevanti. Con questa tecnica prende due piccioni con una fava.
Per concludere
Stiamo facendo il business con il business di Mark Zuckerberg e dei suoi soci. Ricordiamolo sempre. Il banco vince e noi dobbiamo adattarci alle nuove regole del gioco, cercando di interpretarle a nostro favore. Ai corsi che faccio racconto una mia tesi: le variabili di rilevanza si stanno unificando (SEO + social) nell’intento di mostrare il risultato migliore e più gradito all’utente. Il resto è promozione a pagamento.