Ho avuto il piacere di incontrare il 4 settembre Jeremy Rifkin. Per i pochi che non lo conoscessero è un celebre economista e saggista statunitense di fama mondiale. Attorno al tavolo, organizzato da Mondadori, una decina di conosciuti blogger italiani con cui si è discusso per oltre due ore di futuro, economia e tecnologia. Il confronto è stato voluto dall’economista per potersi confrontare sui temi del suo ultimo libro, “La società a costo marginale zero“, in cui teorizza un futuro in cui i “commons collaborativi” genereranno una terza rivoluzione industriale, in cui una nascente economia digitale rivoluzionerà il sistema produttivo in ogni suo aspetto, stravolgerà il modus operandi in pressoché tutti i settori e recherà con sé opportunità economiche e modelli d’impresa assolutamente inediti. Esempi pratici già attivi di questa rivoluzione sono già alla portata di tutti: ad esempio Wikipedia l’enciclopedia che si alimenta di contributi spontanei, Airbnb e Couchsurfing per la rendere disponibili abitazioni e scambiarle con altri e le app di car sharing con cui condividere la spesa di un’automobile. In futuro molti beni di consumo, secondo l’autore, saranno regolati da queste logiche. L’energia la consumeremo e la produrremo direttamente (prosumer) e le stampanti 3D ci consentiranno di produrre gli oggetti di cui abbiamo bisogno o di venderli/scambiarli.
L’idea è molto interessante e porta alcune considerazioni che ho esposto direttamente all’autore. Una società marginale a costo zero abbasserà i consumi, le aziende in gran parte chiuderanno e solo quelle più innovative e che sapranno cavalcare questa nuova tendenza riusciranno ad imporsi. Lo vediamo già ora con i colossi USA come Google, Amazon, Apple e Facebook; queste aziende stanno imponendo nel mercato digitale i loro standard, rendendo difficile fare a meno di loro per comunicare e informarsi. Un nuovo capitalismo in cui i poveri diventeranno sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi; nazioni che hanno investito e investono in ricerca fagociteranno nazioni che sono rimaste al palo, legate a vecchi modelli di business in cui il profitto sulla marginalità è l’unico a cui fanno riferimento. L’Italia non è messa bene in questa evoluzione e rischia molto se non saprà adattarsi alle nuove tendenze.
L’autore è, incredibilmente, molto ottimista e ritiene che questi colossi dovranno far fronte alla necessità dei singoli di reagire a questo impoverimento economico, che si adatteranno sfruttando la rete in una sorta di nuovo mercato del baratto. Gli esempi non mancano: portali di scambio libri, vestiti e altri beni di consumo stanno iniziando ad imporsi e ad entrare nel modus operandi di molti utenti che non possono più permettersi di acquistare direttamente gli oggetti di cui hanno bisogno.
Saremo più poveri e felici? Difficile dirlo, perché se la povertà (alcuni la chiamano decrescita) sarà certa, la felicità è tutta da verificare.