Quelli che vengono impropriamente chiamati “influencer” in realtà non influenzano nessuno, neanche la loro moglie.
Forse potremo definire “influencer” un personaggio come Gerry Scotti, che grazie alla sua notorietà e allo sguardo da “piacione” strizza l’occhio alle massaie in menopausa convincendole a mettere in pentola il riso che richiama il suo nome.
Se invece pensiamo ai blogger, dotati o meno di seguito presunto, come “influenzatori della rete” stiamo certi che il massimo a cui potremo aspirare e qualche tweet e alcuni clic.
Tolti tutti i dubbi sul reale valore di questi personaggi vediamo a cosa servono realmente.
Sono professionisti e persone di talento in grado di generare contenuti e divulgarli grazie alla loro esperienza di blogger. Non sono famosi e quindi agiscono senza budget pubblicitari quando promuovono loro stessi.
La loro esperienza fa si, che applicata ad una strategia di content marketing aziendale, riescano ad ottenere il massimo impatto possibile conoscendo le dinamiche di coinvolgimento della rete. Sanno posizionare il contenuto sulle SERP e le strategie per ottenere il maggiore engagement nelle principali piattaforme sociali. Durante un live twitting sono in grado di emergere per rilevanza nella timeline. Poi a seguire eventi live, video ecc…
Secondo uno studio di onlinemarketinginstitute.org negli USA sono tra le persone in campo pubblicitario più richieste, timidamente, ora anche in Italia. Le aziende, del cugino che tiene la pagina Facebook, non se ne fanno più nulla. Visibilità e conversazione vanno affidate a chi è in grado di generarle.
Concludo dicendo che spesso dietro alla facciata scanzonata da #fuffaro c’è un professionista in grado di misurare i risultati, gestire le crisi e capaci di non dar spazio alle persone invidiose che rosicano nell’ombra sperando di innescare flame per aumentare la propria visibilità. (Qui habet aures audiendi audiat)
Riccardo, personalmente identifico gli influencer con quelli che secondo il modello di Rogers (quello della famosa curva) vengono etichettati come Early Adopters. Non tanto Gerry Scotti, dunque, quanto l’amico o il vicino o il compagno di scuola che per primo adotta un determinato comportamento o acquista un determinato prodotto e lo rende virale. Con la rete e i social questi personaggi sono diventati ancora più… influenti (anche se poi a leggere Panos Mourdoukoutas su Forbes si scopre che non è tanto vero). Un blogger influente, quindi, al più potrà adottare prima degli altri qualcosa (uno stile di scrittura, un metodo di divulgazione, un plugin forse?) e renderlo virale… fra gli altri blogger. Quanto a quel che dici sul Facebook del cugino, spero che tu abbia ragione. Di certo qualcosa sta cambiando, lo si vede chiaramente, anche se qui da noi, soprattutto in ambito B2B, si tratta di cambiamenti mooooolto lenti, perché l’imprenditore con la fabbrichetta non lo capisce ancora che il mondo sta andando dall’altra parte rispetto al venditore con la valigetta e al sito internet con quattro paginette in croce che non vede nessuno.
Infine, la moglie: mi spiace, ma quella proprio non la influenza nessuno! :-)
Un saluto con simpatia.
Concordo sul fatto che qualcosa si sia messo in moto: qualche azienda inizia ad acquisire consapevolezza relativamente all’importanza di essere online in modo strategico. Lo vedo in classe, quando tratto di Social Media Marketing… Fino a un anno fa le PMI mi guardavano con grande perplessità, ora al termine mi chiedono il contatto perché “ci vuole qualcuno che sappia”!
Era ora che il cugino andasse in pensione… ;)
Decisamente d’accordo con Fabio Piccigallo. Aggiungo che sarebbe intelligente da parte delle aziende avere delle figure professionali interne preparate, che siano in grado di monitorare costantemente gli influencer e di gestire le relazioni dell’azienda con loro. Lo stesso dicasi per gli uffici stampa. A questo punto ignorare che il mondo e la comunicazione stanno cambiando è una scelta certo, ma decisamente penalizzante. Ultima precisazione, ovviamente i numeri sono importanti e fanno la differenza in questo mondo, ma sarebbe bello che questi numeri fossero sempre supportati da qualità e contenuti, sennò si fa solo a chi urla di più e questo alla lunga finisce con il diventare un boomerang per tutti, a partire dalle aziende fino ad arrivare ai consumatori e agli stessi blogger e influencer
non so perché, ma vedo una velata polemica con Osvaldo Danzi