Recentemente mi è accaduto di rispondere a un paio di commenti sotto ai miei post con la frase rituale: “Sono responsabile di quello che dico, non di quello che capisci”, per poi pentirmi e chiedermi se sia davvero così. E se invece avessi dato prova di arroganza?
Mi domando se quello che dico sia allineato con ciò che gli altri percepiscono. Ho scoperto negli anni che le parole contano, hanno un potere enorme, ma ce l’hanno anche il modo in cui le esprimo, il contesto e le azioni che ne conseguono. Per essere compreso, non mi basta parlare chiaramente, devo anche comunicare in maniera che l’altro possa davvero capire. L’empatia si nutre infatti dell’ascolto attivo, della sensibilità rispetto alle circostanze, permettendo di dialogare con chi ha un modo di vivere, sentire e vedere diverso dal mio.
Essere fraintesi è talmente semplice: bastano poche parole per alzare un muro comunicativo.
Dire a qualcuno “Fai come vuoi” può sembrare un’approvazione, ma potrebbe essere interpretato come indifferenza o una risposta passivo-aggressiva.
“Pensavo lo sapessi” potrebbe risultare all’altra persona come un’accusa di non essere attenta o informata.
“Se fossi in te…” può giungere come un giudizio o un consiglio non richiesto, anche se intendiamo solo aiutare.
Oppure “Non preoccuparti, me ne occupo io” potrebbe essere percepito come sfiducia nella capacità altrui di gestire la situazione.
Questi sono solo alcuni esempi; ormai non tengo più il conto delle volte in cui rispondo in modo ironico e… vengo preso sul serio!
L’empatia misura la distanza tra noi e l’altro. È complesso immaginare cosa stia affrontando una persona diversa da me, emotivamente distante, che non condivide le mie convinzioni né le mie esperienze.
Anche chi credo di conoscere bene spesso vive situazioni e storie che posso solo intuire.
L’empatia – intesa anche come ascolto attivo – richiede molto impegno, ma ne vale la pena: è la chiave per creare connessione e fiducia, e aumenta la capacità di comunicare in modo efficace.