Non lo deludi mai un cinico, perché immagina uno scenario in cui si aspetta il peggio da te e da quello che lo circonda. Il cinico cerca di limitare le aspettative su di sé e sugli altri, in modo da non rimanere mai deluso. Nelle forme più gravi, smette di progettare e fare qualsiasi cosa, perché non crede più a nulla.
Il cinico estroverso ha trovato nei social network un luogo magico in cui sfogare il suo malessere. Lo trovi a criticare tutto e tutti, attaccare chi ha realizzato qualcosa che lui riteneva impossibile e spargere la sua frustrazione ogni volta che si presenta l’occasione.
Un cinico inserito in un’organizzazione esprime il suo atteggiamento a spese del gruppo: smorza l’entusiasmo, rallenta il lavoro e scommette sull’insuccesso di ogni iniziativa. Spesso vince la scommessa, perché i progetti sono sempre un tentativo di realizzare un sogno.
Il cinico è il risultato di una società che non valorizza gli errori
Dalla scuola all’azienda vengono premiati i risultati. Ogni giorno c’è un piccolo risultato, che fa parte di un progetto più vasto da realizzare. Le mancanze, gli errori e le delusioni sono accompagnati dalla negatività e dalla sofferenza.
Se costruissimo un società in cui apprezzare gli errori? L’innovazione non può essere solo tecnologica.
Un’organizzazione non dovrebbe spingere il dipendente a dire: “Mi dispiace ho fatto un errore”.
Il dipendente si sentirebbe maggiormente coinvolto dicendo se potesse dire: “Buone notizie, ho fatto un errore”.
Il cinismo nasce dal sistema, non dalla personalità. L’errore è quello che permette di migliorare tutta l’organizzazione, di esplorare nuovi metodi e unire le persone attorno al progetto. Se non devi nascondere l’errore ti senti parte di un organismo.
L’organizzazione è un insieme di persone che rispettano le regole, un organismo è un obiettivo che unisce le persone.
Il cinico è il risultato di un errore di progettazione della società.
Magnifico questo post
Caro Riccardo, ma come la cambiamo questa società? Cominciando da noi, certo. Agire correttamente nel nostro contesto, spiegare che gli errori sono il modo per fare esperienza, per vivere e comprendere. Grazie per le tue riflessioni.
@Giovanna la cambiamo un’azienda alla volta, spargendo la voce, fino a far comprendere a tutti che gli conviene farlo ;)
Grazie Ferruccio!
Ho letto da poco un “post” simile al tuo. In due libri che trattano dell’applicazione al mondo del lavoro dei criteri che Benedetto da Norcia usava raccomandare agli abati per curare i monaci. E che prevedeva di trattare l’errore, possibile a tutti (abati/dirigenti compresi) esattamente come scrivi tu. Come una opportunità di miglioramento per il singolo e per l’organizzazione/comunità monastica nel suo insieme. E, visto che le abbazie benedettine tuttora funzionano benissimo, direi che la cosa funziona…
I benedettini non hanno nulla da imparare nel gestire un’organizzazione eh! :D
Davvero molto interessante, grazie.
Grazie a te!
Un grande manager americano, non ricordo chi, elencava tre comportamenti:
1) fare la cosa giusta è l’ideale
2) sbagliare, ogni tanto, è accettabile
3) non fare niente, quando c’è da fare, è l’unico comportamento inaccettabile
Sono della stessa opinione!
che l’errore sia una cosa preziosa è una delle poche cose cose che ho capito nell’ambito delle procedure all’interno del sistema di qualità aziendale. E’ prezioso proprio perché, essendo un’evidenza, consente di sviluppare una procedura da seguire per evitarlo in seguito. Tuttavia mi sono trovato spesso in situazioni in cui chi può nascondere il proprio errore (in genere figure apicali o presunte tali) lo fa senza crearsi troppo il problema e la possibilità di farlo diventa un esercizio di potere. Questi “capetti” sono una seconda categoria di cinici?
Andrebbero approfonditi! Il “capetto” deve dimostrare leadership a tutti i costi, temo sia una nuova patologia
L’ideale sarebbe: “Buone notizie, ho fatto un errore e ho un’idea per migliorare”. Questa è l’evoluzione di cui abbiamo bisogno.
Lo davo per acquisito, ma hai fatto bene a ribadirlo!
Che si possa pensare, prima ancora di cambiare le aziende, di modificare l’atteggiamento verso l’errore fatto dai bambini che stiamo educando (come genitori, educatori e adulti in genere)?
Forse potremmo immaginare giovani donne e uomini del prossimo futuro già capaci di accogliere l’errore come preziosa opportunità di crescita e cambiamento?
Esattamente quello che andrebbe fatto!
Oggi sei stato d’ispirazione, grazie!
Grazie a te Andrea!