Al motto di “a volte vinci, a volte impari”, chi crea contenuti basa lo sviluppo delle proprie condivisioni sui risultati che hanno generato quelle precedenti. In pratica, se un determinato contenuto ha generato una quantità di engagement superiore rispetto ad altri, si tende a replicarne lo stile e l’argomento.
Questo fenomeno è logico e in parte corretto; dico in parte perché alcuni, dopo aver verificato che un dato argomento raccoglie i consensi del proprio pubblico, tendono a replicarlo continuamente senza porsi la domanda fondamentale: “Mi è utile continuare ad insistere su questo messaggio?”
Il marketing è narrazione, ma non tutta la narrazione è marketing.
Se dopo aver condiviso 4 post del tuo blog e aver registrato poche interazioni o riscontri ti accorgi che la foto di tuo figlio mentre gioca con il cane ottiene 500 like, il tuo cervello sarà portato a credere che è quello il contenuto di successo. In realtà, quel contenuto è utile solo a far sapere di te che sei un buon padre e hai un bellissimo cane; percezioni utili, ma deboli se prese singolarmente. Le metriche con cui misuri la rilevanza dei tuoi contenuti devono essere in grado di soppesare il medium in cui vengono visualizzati. La foto di tuo figlio è ottima per Facebook e Instagram, ma meno utile su LinkedIn e Twitter. Se ottieni un discreto interesse con un post di lavoro su LinkedIn potresti non ottenere lo stesso risultato su Instagram o su altri social più votati allo svago. Per ottenere maggiore coinvolgimento i più smaliziati hanno compreso che i contenuti professionali vanno resi caldi.
“Un narratore crea storie per aiutare gli altri; un bugiardo compone storie per aiutare se stesso” – Daniel Wallace, The Kings and Queens of Roam
Alcuni bravi comunicatori hanno compreso che “scaldando” un contenuto professionale con elementi fortemente empatici come le emozioni, la passione, le sfide vinte, il ricordo, il senso di appartenenza, l’integrità o il rispetto, ottengono una grande partecipazione emotiva nel pubblico che li osserva. Ma lo storytelling, se fatto male, esagerato o replicato attraverso lo stesso cliché, rischia di apparire falso agli occhi attenti di chi nota il ripetersi della struttura narrativa.
“Sai cos’è un narratore, vero? È una persona dalla buona memoria e spera che le altre persone non lo siano” – Sandra Dallas
Le persone, sui social, non vogliono testi freddi, vogliono potersi identificare e ritrovare nei contenuti ai quali prestano attenzione, dopo averne compreso il significato. Tuttavia sono alla perenne ricerca di informazioni, emozioni e stimoli, sono affamati di novità ed è per questo che ripetersi con lo stesso pattern dopo un buon risultato comunicativo, rischia di indebolire l’aspettativa e rendere evidente la fame di attenzione.
Lo storytelling è un compagno esigente, vuole da te la sintonia con il tuo pubblico e la continua originalità. “A volte vinci, a volte impari“: è il pubblico che ogni giorno decide se hai vinto, ma sei tu che impari dagli errori, se sai riconoscerli e non ti fai consigliare dall’ego.
Grazie Riccardo!
Grazie a te Giorgio!
grazie
Molto interessante, grazie tante per questo articolo. Un suggerimento relativamente ad uno o più testi per approfondire la tecnica dello storytelling?
Grazie
Luciana
Mi cogli impreparato, quello che so (sullo storytelling) non l’ho imparato dai libri ma dall’attenta osservazione dei migliori
Potrei saperne i nomi? (Scusi non vorrei sembrare sfacciata con queste richieste)
Grazie
Luciana
Nel mio settore te ne dico solo uno, non italiano per non offendere nessuno: https://seths.blog
Interessante contenuto, come sempre.
In questo preciso momento sono al tuo corso a Mosciano, attendendo con molta curiosità il tuo intervento!
Grazie Leandra, spero di non averti delusa!
bellissimo sito, grandi articoli complimenti Riccardo
Grazie Amico!
Sei una boccata d’ossigeno in questi tempi.
E’ sempre un piacere leggere i tuoi articoli
Grazie Fabio!